Scritto da Marcello Corbelli
Valerio mi disse che gli sarebbe piaciuto portare avanti un piccolo progetto utile per il pescatore, sia agonista che per diletto, con l'idea di rendere disponibile online un vademecum informativo sui corsi d’acqua di maggiore interesse e sulle loro principali caratteristiche alieutico-ambientali. Com’è ovvio che sia, a me, toscano d’origine, pescatore fin da bambino, prima per diletto e poi come (mediocre) agonista, è stato chiesto di mettere a disposizione le mie conoscenze sui fiumi e i torrenti della mia Regione e questo, tradotto all’atto pratico, è leggibile come i corsi d’acqua più importanti dei bacini dell’Arno e dell’Ombrone e quindi, saltando ulteriori preamboli, iniziamo subito con il bacino dell’Ombrone, partendo dall’Arbia: il primo e sicuramente il più pescoso dei suoi affluenti.
Arbia
L’Arbia nasce poco a nord di Castellina in Chianti e contribuisce all’Ombrone presso Buonconvento.
Il suo alto corso e le sue acque, arricchite dai vari “borri” provenienti dalle caratteristiche colline di galestro e alberese del Chianti Senese, rendono questo primo tratto, decisamente selvaggio, molto ben adatto alla pesca alla trota, insidiabile (sempre rigorosamente a risalire) tanto con esche naturali, quanto a spinning leggero, ma anche a mosca, in particolare nel suo più importante affluente: il Massellone; che a sua volta nasce nelle colline sovrastanti Gaiole in Chianti e si getta nell’Arbia pochi chilometri prima dell’abitato di Pianella dove, appunto in quei pressi, è stata istituita una zona a regolamento specifico per la pesca alla trota (per maggiori informazioni rivolgersi al sito web: www.moscaclubsiena.it ).
Già a valle di Pianella l’Arbia assume l’aspetto del torrente del piano dove, nelle buche più profonde o nei “corsi” di frega, già si possono trovare gli astutissimi cavedani etruschi o dell’Ombrone (squalius lucumonis), alcuni ghiozzi e gli immancabili vaironi, molto apprezzati per delle gustose fritturine…ma con moderazione, per cortesia.
Lasciata la valle di Pianella e con essa il territorio del Chianti, l’Arbia entra nelle campagne circostanti Siena dove si arricchisce delle acque di altri affluenti minori, come il Biena, la Malena e il Bozzone, quest’ultimo interessante anche sotto il profilo piscatorio, soprattutto per quelle prime avventure di pesca che tanto affascinavano noi ragazzi dei tempi che furono.
Giunti a valle dell’abitato di Taverne D’Arbia, dopo la confluenza con il Bozzone, nel tratto compreso fra Taverne D’Arbia e Isola D’Arbia, meglio conosciuto come l’Arbia a Salteano, si possono trovare delle ampie zone di acqua lenta, ricche di carassi, di carpe e anche di qualche tinca, che ben si prestano alla pesca con canne fisse e bolognesi, ma anche con la tecnica del feeder.
Sempre nello stesso nastro d’acqua ci sono delle invitanti correntine e dei rigiri d’acqua, regno incontrastato di cavedani e barbi (autoctoni).
Proseguendo lungo il corso dell’Arbia, nel tratto compreso fra Isola D’Arbia e Monteroni D’Arbia, si possono trovare delle “piazzole” di pesca (per la verità, poche) ricavate fra la vegetazione e dove i pescatori locali vanno, con successo, a pesca di carpe e di grossi carassi.
Tralasciando alcuni chilometri di fiume, poiché poco accessibile e ancor meno frequentato, arriviamo nel piccolo campo gara di Ponte D’Arbia: una piccola perla per gli amanti della pesca agonistica; largo mediamente una ventina di metri e lungo circa un chilometro, dove il pescatore può spaziare nella pesca dei tanti (e difficili) carassetti da 100 a 300 gr. e dei cavedani, molto scaltri, da insidiare a roubasienne, con lenze sottili (mai sopra a 0,10 - 0,12 mm.) e leggere (0,20 - 0,50 gr.), in condizioni di acqua lenta e delle velette fino a 2 gr., quando c’è più corrente.
Il problema più grosso in gara è indubbiamente l’incontro, peraltro frequente con la carpa, difficile da governare con certe lenze, decisamente minimali.
Per gli amanti della pesca a feeder invece, ci sono alcune garanzie in più, soprattutto perché la tecnica, con lunghi finali completamente adagiati sul fondo, consente l’uso di terminali un po’ più robusti, utili per portare al guadino anche le carpe più combattive.
Giusto per qualche informazione in più, le esche e le pasture che vanno per la maggiore in queste acque sono sicuramente i piccoli vermi di terra o di letame e gli onnipresenti bigattini, da utilizzare anche per il brumeggio, incollati e da servire con la coppetta, oppure lanciati a fionda, ma sempre in piccole dosi; mentre riguardo la pastura, la più utilizzata è senz’altro la classica gialla, dolce, ma anche questa da utilizzare con moderazione e senza mai lanciarla rumorosamente.
Lasciamo ora l’Arbia per dedicare un po’ di lettura a quello che è indubbiamente il più importante contributo idrico del bacino dell’Ombrone: il torrente Merse.
Merse
Il Merse, o “la” Merse, come la chiamiamo dalle nostre parti, nasce in Provincia di Grosseto, nelle Colline Metallifere fra Prata e Montieri per poi scendere a valle, solcando le maestose boscaglie che caratterizzano quelle zone.
La qualità e la purezza di queste acque incontaminate, che nel suo alto corso scorrono fra i boschi senza incontrare centri abitati, è decisamente di alto livello e costituisce un habitat in grado di ospitare trote, ghiozzi e vaironi e addirittura, in alcuni dei suoi “borriciattoli” contribuenti, come il Gonna, si possono ancora trovare gli ormai rari (e super protetti) gamberi di fiume.
Raggiunto il suo corso nel piano, nei pressi dell’abitato di Brenna, il Merse assume la sua veste di fiume, con ampi correntoni, e interessanti “tomboli”, dove barbi autoctoni, scaltri cavedani e carpe recitano la parte dei protagonisti, tra l’altro molto difficili da insidiare in questo ambiente ancora selvaggio e con acque decisamente limpide.
Dal borgo di Brenna e fino al tratto a valle del Ponte di Macereto, per un tratto di circa cinque chilometri, è istituita una zona a regolamento specifico per la pesca al luccio dove, sempre nel rispetto dei divieti per i periodi di frega, sono consentite liberamente le altre forme di pesca (per maggiori informazioni rivolgersi al sito web: www.moscaclubsiena.it ).
Una volta giunti a valle del Ponte di Macereto e lasciata la zona a regolamento specifico, il Merse regala degli scorci davvero suggestivi, che riportano alla mente ricordi di lunghe file di pescatori immersi nell’acqua fino all’inguine, con copiose sacche di bigattini al collo, intenti a pescare cavedani e savette in passata con le canne “fiorentine” o con le “bolognesi”.
Ora purtroppo, vedere uno di questi pescatori appassionati della pesca in passata è un evento sempre più raro, così come sempre più raro è trovare facile accesso fra la vegetazione di sponde ormai abbandonate, ma un pescatore che possa ancora ritenersi tale, troverà sempre nel Merse un fiume d’altri tempi, dove la pesca non è solo tenere una canna in mano, ma è soprattutto emozione, quell’emozione che solo un pescatore riesce a provare.
Prima però di lasciare “la” Merse merita soffermarsi un attimo sul suo maggiore affluente: il Farma.
Il Farma, come il Merse, nasce nelle Colline Metallifere, sul Poggio del Cerro Balestro e una volta giunto sotto il Borgo di Torniella, il suo corso assume il ruolo di confine fra le Provincie di Siena e Grosseto, fino alla sua immissione nel Merse, a valle delle Terme di Petriolo.
Stiamo parlando di un torrente rigoglioso, rude e selvaggio, che attinge il suo contributo più importante dal Bardellone, un “borro” di acqua sorgiva molto interessante per gli amanti della pesca alla trota, che scorre nella valle della riserva della Pietra e si immette nel Farma sotto il borgo di Torniella, lungo “la Strada di Siena”: l’antico percorso medioevale che collegava il territorio della Repubblica di Siena con la Maremma.
Il corso del Farma si dipana interamente in mezzo alla foresta del Belagaio, che fu territorio e nascondiglio dei temibili briganti maremmani.
La pesca in queste acque, seppur ricche di vaironi, ghiozzi, cavedani e delle belle trote, passa in secondo piano rispetto alle ricchezze ambientali e naturali di questi luoghi (uno dei più famosi sono i Canaloni), ma una volta scesi a valle, per circa quindici chilometri, lungo un percorso avvolgente e incontaminato, sara possibile anche concederci un bagno depurativo e rilassante nelle acque calde delle Terme di Petriolo, liberamente accessibili nel Farma stesso, proprio sotto l’omonimo impianto termale.
Terminata questa breve carrellata sui principali affluenti del fiume Ombrone, non resta che soffermarsi proprio su quest’ultimo, molto interessante sia per il pescatore per diletto che per quello agonista.
Ombrone
L’Ombrone nasce fra i monti del Chianti e più precisamente nei paraggi di San Gusmé; attraversa per intero i calanchi delle Crete Senesi con delle caratteristiche molto simili a quelle di un piccolo fosso, del tutto privo di interesse sotto il profilo della pesca fino alla sua confluenza con il torrente Arbia, appena a valle dell’abitato di Buonconvento dove l’Ombrone, grazie proprio al contributo dell’Arbia, inizia ad assumere la sua veste di vero e proprio fiume.
È a valle di questa confluenza che già si possono trovare degli interessantissimi spot di pesca molto noti agli amanti della pesca in passata e anche ai precursori dell’attuale carp fishing, che nelle notti d’estate di allora frequentavano in gran numero le sponde dell’Ombrone con le loro canne da fondo in fibra di vetro, rigorosamente munite di campanello, utile per segnalare la mangiata di carpe e anguille e caso mai fossero mancate le mangiate del pesce... certo non mancavano mai le mangiate di salsicce e “costoleccio” arrostiti sulla brace e bagnati da abbondanti bicchieri di vino.
La Befa, Salceta, Bocca Merse, Casenovole, Pian delle vigne, Campagnatico, sono solo alcuni dei nomi che rimbombano ancora nelle orecchie dei vecchi pescatori, nomi delle zone più frequentate dell’Ombrone e che hanno fatto la storia della pesca in passata.
Potremmo ancora parlare di altre zone note, ma sarebbe del tutto superfluo poiché ogni correntone, ogni tombolo, ogni spazio accessibile di questo bel fiume è stato ed è ancora in grado di regalare forti emozioni a base di carpe, carassi, cavedani, barbi, anguille e chi è più ne metta, da insidiare con la tecnica preferita.
Bellissime, per non dire epiche, le uscite a spinning in primavera, a valle della Steccaia di Istia D’Ombrone, nel momento della risalita delle cheppie, ora un po’ meno numerose e un è po’ più piccole di qualche lustro fa, ma ancora in grado di smuovere tanta adrenalina nelle vene degli appassionati di pesca con gli artificiali.
Ormai siamo in prossimità del mare e il nostro “volo radente sul Bacino dell’Ombrone” sta per concludersi, ma non prima di soffermarci un po’ sul campo gara di Istia D’Ombrone: un impianto di pesca sportiva che si sta riservando un ruolo molto importante nell’intero panorama agonistico toscano e non solo.
Questo campo gara, che prende il nome dall’omonima frazione del Comune di Grosseto, è ricavato in un tratto di fiume a lento scorrimento, largo mediamente circa sessanta metri e lungo circa un chilometro e la sua profondità varia da un minimo di un metro e mezzo, nella parte e monte, a circa i tre metri nella parte a valle.
L’ampia varietà di pesci che popolano questo tratto di fiume consente diverse tecniche d’approccio: dalla “caccia” ai grossi barbi europei, nei mesi invernali, alla pesca primaverile del cavedano.
Ma è con i mesi più caldi che si possono ottenere ottimi risultati cercando carpe, carassi e pesci gatto americani, i cosiddetti clarius, sia nella pesca al colpo, sia con la pesca a feeder. E se poi vogliamo proprio cercare le emozioni forti… ma forti davvero, allora sarà sufficiente dotarsi di canne, fili e ami degni di tale nome; tanti bigattini e tanto mais, oltre a una buona quantità di pastura e pescare a pochissimi metri da riva, talvolta non più di un paio, per trovarsi a combattere e ripeto “combattere”, con carpe e clarius di svariati chilogrammi, capaci di sprigionare una potenza inaudita, regalando esperienze uniche.
Dopo il campo gara di Istia D’Ombrone Il corso del fiume prosegue verso la sua foce, che raggiungerà traversando il Parco dell’Uccellina dove, per un primo tratto, sarà ancora possibile pescare, munendosi di un permesso da ritirare presso gli uffici del Parco, mentre negli ultimi due chilometri circa, prima dello sbocco al mare, è vietata la pesca.
Ecco qua, siamo partiti dai monti del Chianti e dalle Colline Metallifere, per giungere al mare, dopo circa 170 chilometri percorsi lungo il corso dell’Ombrone e i suoi principali affluenti. Siamo dovuti passare dalle trote ai clarius, dai gamberi alle cheppie, per descrivere solo una minima parte di quello che è e che offre il bacino dell’Ombrone, ora dobbiamo fare altrettanto con quello dell’Arno… ma questa è un’altra storia.
Marcello Corbelli